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<p>John Wick &egrave; tornato. Rinfrancato nel corpo e in quel che resta dello spirito, il leggendario killer dal leggendario soprannome Baba Yaga ha vissuto sotto protezione nel regno del Re della Bowery, in attesa di avere la sua vendetta. E l&#39;occasione &egrave; arrivata: la Gran Tavola, all&#39;unanimit&agrave;, ha dato pieni poteri al Marchese de Gramont per riportare l&#39;ordine nelle sue enclave, e questi come primo atto ha stabilito la destituzione di Winston e l&#39;abbattimento del Continental. Inizia cos&igrave; l&#39;ultimo periplo di Wick, lungo il quale incontrer&agrave; vecchi e nuovi nomi, come l&#39;assassino cieco Caine, la Ruska Roma, Shimizu il direttore del Continental di Osaka, il Reggente e altri pi&ugrave; o meno letali amici-nemici. E dopo aver perso la moglie, il cane e la macchina, il finale non pu&ograve; che essere uno.</p> <p>Forse ci sar&agrave; un quinto capitolo, forse no, dipende dalle gambe di Keanu Revees, l&#39;occhio di Chad Stahelski e la fede della leggenda di Baba Yaga. Il Vangelo di Proiettili &amp; Coltelli di John Wick &egrave; alle ultime pagine. Un vangelo apocrifo, collocato in qualche scaffale senza numerazione in un&#39;anonima biblioteca del folklore di citt&agrave;, solcato da note e cenni su Giudicatrici, Messaggeri, Cacciatori, e poi Regole, Ordine, Conseguenze. &Egrave; intinta nel sangue delle sue nemesi e nel tormento dei suoi lutti la parabola del nostro Baba Yaga, che non vive dentro una casa che poggia su due zampe di gallina ma in una Grande Mela.&nbsp;</p> <p>Eppure &egrave; un formidabile talismano, questo John Wick, come tante delle monete e dei medaglioni che si barattano in tutti e quattro i film: cos&#39;&egrave;, infatti, il primo capitolo della saga, se non un rialzarsi dopo essere caduti, di nuovo e di nuovo ancora, come fa proprio Wick dopo ogni mattanza? &Egrave; stato cos&igrave; per il suo interprete, Keanu Reeves, all&#39;epoca impantanato in progetti di seconda fascia; ed &egrave; stato cos&igrave; per Derek Kolstad&nbsp;(sceneggiatore), che non riusciva a piazzare i copioni che voleva, Basil Iwanyk&nbsp;(produttore), alla sua prima esperienza come indipendente, Chad Stahelski e David Leitch (registi, con solo il primo accreditato), debuttanti dietro la macchina da presa dopo anni come double e stunt coordinator. Quasi bloccato per mancanza di fondi a due settimane dall&#39;inizio delle riprese, senza il budget necessario per reshoot e ulteriori camere, rattoppato in sala di montaggio, il primo John Wick&nbsp;ha dato vita a un franchise con altri tre capitoli, quasi 600 milioni di dollari di incassi globali e due spin-off in arrivo. Puro Vangelo. Il capostipite fissava il canone visivo e narrativo del mondo della Gran Tavola; &ldquo;John Wick: Capitolo 2&rdquo;&nbsp;ne esplorava coordinate e dettami; &ldquo;John Wick 3: Parabellum&rdquo;&nbsp;cancellava ogni indicazione data dagli atlanti precedenti. Questo&nbsp;&ldquo;John Wick 4&rdquo;, in un modo manifesto, perfino sincero, prende sulle sue spalle tutto quello che &egrave; stato prima per srotolarlo, giudicarlo e sancirlo una volta per tutte. E lo fa tornando alle sue radici, agli albori della sua storia, quasi riscrivendo intere parti del terzo capitolo, quello forse meno riuscito della saga con le dubbiose involuzioni di trama sul Reggente e la Setta degli Assassini, le piroette di Winston e una generale indecisione su che strada lastricata di corpi far prendere al killer pi&ugrave; efficiente della storia e del folklore. Cos&igrave; i miti delle cronache di Wick tornano ad essere semplici, diretti, una moneta vale una moneta e lo stesso Baba Yaga riabbraccia la sua trib&ugrave; di appartenenza.&nbsp;</p> <p>Questo viaggio orfico verso la morte (da donare e da ricevere) ci porta nell&#39;Estremo Oriente dove sembrano nascere molti degli obliqui precetti incrostati di etica che muovono il mondo di Wick e nel Vecchio Continente, scranno di quei poteri secolari che siedono alla Gran Tavola. &Egrave; tutto in funzione di quelle Regole, di quell&#39;Ordine e delle Conseguenze che ne seguono l&#39;epilogo di&nbsp;&ldquo;John Wick 4&rdquo;; e se il Marchese de Gramont ne incarna la volont&agrave; di sovversione, si tratta soltanto di una gattopardesca restaurazione dell&#39;Ancien R&eacute;gime sotto una nuova e pi&ugrave; contemporanea maschera, contro la quale non pu&ograve; che scagliarsi l&#39;eccezionalit&agrave; del Nuovo Mondo (newyorchese, naturalmente), con in rappresentanza quel John Wick/Jardani Jovanovich della Ruska Roma, un immigrato che gi&agrave; nel cuore dell&#39;Europa assieme ai suoi fratelli rom rifiutava di schierarsi, sedere e sottostare.&nbsp;</p> <p>E se finale deve essere, e tra Vecchio e Nuovo Mondo, allora che sia un duello, western e da gentiluomini assieme. Wick torna quello che era nel principio (il primo script del primo film teorizzava un killer anziano alla Clint Eastwood), con un&#39;alba, una pistola e un amico da uccidere o da cui essere uccisi. Non c&#39;&egrave; via di fuga, solo una direzione possibile. E Stahelski la imbocca, abbracciando la sceneggiatura, rendendo tutto non esagerato ma ambizioso, non pi&ugrave; grande ma epico. Le lunghe e logoranti sequenze action senza uno stacco n&eacute; una pausa raggiungono il puro post-realismo, non si rinuncia a niente, si mostra tutto a partire dagli stunt e dalle loro evoluzioni. Ogni cosa viene dopo il disegno grafico dei corpi e delle armi, perch&eacute; non &egrave; John Wick con i suoi massacri ad essere immerso nel mondo, &egrave; il contrario; cos&igrave; si spiega, no, si vede, si sente, si esperisce la sequenza senza pari attorno all&#39;Arc de Triomphe parigino.&nbsp;</p> <p>E vista l&#39;immersione di fede nel mito, nel western, nel romanticismo, allora ecco quello che &egrave; forse il primo piano sequenza iperstilizzato fino all&#39;astrazione della saga, tutto girato dall&#39;alto con un crane, dentro un edificio, con una selva di corpi indistinti ricacciati e ributtati da Wick. Poi tutto si asciuga, c&#39;&egrave; un&#39;alba, una pistola e un amico da uccidere o da cui essere uccisi. E Baba Yaga torna ad essere leggenda.</p>
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