Il robot selvaggio
Precipitato dal cielo su una scogliera dalle colonne basaltiche, un robot viene incidentalmente attivato dalla fauna locale. Programmato per servire, cercherà di fare amicizia con gli animali, imparando persino la loro lingua, ma tutti lo considerano una sorta di mostro. Le cose cambiano quando un orso lo spinge giù da un dirupo, facendolo cadere su un nido dove trova un uovo. Il piccolo nato dall’uovo, per via dell'imprinting, inizierà a considerare il robot Rozzum 7134 come fosse sua madre. Per educarlo, Roz si affiderà ai consigli di un'astuta e golosa volpe di nome Fink e cercherà di insegnargli a volare in tempo per la migrazione, un'impresa non facile perché l'oca ha ali minute e gli altri membri della sua specie non vedono di buon occhio che sia cresciuta dal robot.
Una favola sul rapporto tra natura e tecnologia, con un grande colpo di scena e soprattutto con uno stile di disegno digitale che guarda all'impressionismo. “Il robot selvaggio”, tratto dal primo di tre libri illustrati di Peter Brown dedicati a Rozzum 7134, non è infatti il solito film d'animazione in CGI: a un look iperdefinito e tondeggiante preferisce una leggera sfocatura e colori applicati senza contorni, creando immagini quasi pittoriche e di certo più artistiche e affascinanti del solito standard di questo filone. Non siamo al livello delle spregiudicate ed ipercinetiche innovazioni di “Spiderman: un nuovo universo”, ma solo perché qui l'ispirazione hip hop sarebbe del tutto inappropriata. È invece perfetta, per una fiaba ecologista immersa nella natura, questa scelta dolce e morbida nei colori e nel disegno.
Non che la storia manchi di presentare la natura anche come qualcosa di crudele, con leggi spietate, ma Roz nella seconda parte del film saprà trovare il modo di far convivere gli animali in una sorta di utopia, che cozza invece con la distopia in cui è precipitata l'umanità, dove i robot esistono per servire ma anche per combattere con tanto di armi al plasma, capaci di scatenare velocemente un incendio se impiegate in una foresta. Il rapporto di Roz con la fauna locale passa per diversi momenti di violenza, in cui il robot è aggredito da animali anche molto più forti di lui, anche se i danni più gravi li subisce dai procioni. Nonostante questo Roz è fedele a una programmazione che gli impedisce di fare del male e anzi cerca solo di aiutare a suo modo chi incontra. È in sostanza un essere artificiale intelligente alla ricerca di uno scopo, inizialmente incapace di deprimersi per i rifiuti, svilupperà via via l'empatia che ci si aspetta in un film d'animazione moderno per famiglie.
Ci sono molte scene memorabili sia per i momenti di tenerezza, sia per quelli comici, sia per quelli spettacolari e se il film ha un limite è di non aver lasciato più spazio al silenzio, come invece aveva fatto “Wall-E”. Il design di Rozzum è per altro molto diverso da quello del robottino della Pixar e sembra piuttosto un mix tra la sua EVE, arrotondata e bianca, e il robot dalle braccia prolungabili di “Il castello nel cielo”, al quale diventa ancora più simile quando si ritrova in parte coperto dalla flora locale. Il film è poi un gradito ritorno all'animazione per Chris Sanders, che aveva collaborato a “Lilo e Stitch” e “Dragon trainer”. Il regista, qui con il sodale Dean De Blois in veste di produttore, conferma di saperci ancora fare e firma un adattamento senz'altro destinato ad avere dei sequel, perché di certo il pubblico vorrà rivedere la tenera, tenace e materna Rozzum.