The amazing Spiderman

Finalmente l'attesa è finita. Gli amanti del celebre Uomo Ragno, da sempre uno dei fumetti di punta della Marvel, potranno rivedere le gesta del loro beniamino sul grande schermo. “The Amazing Spider-Man”, nuovo lungometraggio realizzato in 3D che ci propone un Peter Parker nuovo di zecca, arriva in sala il 4 luglio. I numerosi sostenitori della trilogia firmata da Sam Raimi sono in fibrillazione perché tra poco sapranno se il nuovo lungometraggio dedicato al loro supereroe di riferimento avrà lo stesso impatto del seminale Spider-Man e se l'atletico Andrew Garfield saprà tener testa al dimesso Tobey Maguire, nell'incarnare l'eroe con problemi che ha inaugurato il nuovo corso della Marvel. Lo Spider-Man 2.0 avrà un interesse sentimentale diverso dal precedente, la bionda Emma Stone/Gwen Stacy prende il posto della rossa Kirsten Dunst/Mary Jane Watson, e dei nemici nuovi di zecca, a partire dal lucertolone mutante Lizard (Rhys Ifans).
Marc Webb, per usare un termine che in questo periodo di Europei va molto di moda, questo film è una "ripartenza": quali sono state le difficoltà e le cose che l'hanno appassionata in questa operazione di ritorno?
Marc Webb: Credo che Spider-Man sia un personaggio iconico e leggendario. A differenza di eroi contemporanei come Harry Potter, è in giro da 50 anni, e la nostra è una diversa visione del personaggio: un'angolazione diversa, che ci fa sapere cos'è successo ai genitori e approfondisce la storia di Gwen. Volevo trovare un tono che fosse più con i piedi per terra, più naturalistico: in questo film, più importante del morso del ragno è il momento in cui lui è stato abbandonato dai genitori.
Il film sembra assimilabile alla serie Ultimate Spider-Man: una storia già nota narrata da un diverso punto di vista. Nei sequel ci saranno i vecchi cattivi con nuove storie e nuove origini?
Marc Webb: C'è un certo elemento iconico nel personaggio, ma anche un nuovo contesto. In Ultimate Spider-Man ci sono anche nuove dinamiche che sicuramente ci hanno ispirato. Si potevano costruire tante storie, ma volevamo uno sguardo nuovo: il film, in realtà, è un mix di vecchio e nuovo.
Considerato il gran numero di fan di Spider-Man, avete sentito la pressione? Qual è stato il vostro rapporto con loro?
Emma Stone: Da parte nostra c'è una grandissima responsabilità nei loro confronti, un qualcosa su cui all'inizio ho molto riflettuto: dall'esperienza di “The Help”, comunque, ho imparato a calmarmi e a rendermi conto che potevo solo fare il miglior lavoro possibile, senza l'ossessione di soddisfare tutti. Potevo solo dare la mia visione del personaggio. Io non penso mai, tra l'altro, alla parola fan rapportata a me: è strano pensare ai propri fan, ma capisco quelli di Spider-Man, perché anch'io ne faccio parte.
Andrew Garfield: I fan sono il pubblico più importante presente al cinema: se riusciamo a soddisfare loro, facciamo già un bel lavoro. La pressione l'ho sentita fortissima quando sono entrato in questo costume, ma è stata una bella pressione, una cosa fantastica: guai se non ci fosse stata.
Nel film si coglie un po' l'ansia di non ripetersi, che sembra mettere un po' in secondo piano, per esempio, il senso di responsabilità di Peter. E' stata una scelta voluta, o il personaggio si evolverà nei sequel?
Marc Webb: In generale, mi piace il personaggio che si evolve, e sicuramente ciò succederà. Non scendo nei dettagli, ma mi piace l'idea di lasciare il personaggio aperto, in modo che abbia spazio per crescere in eventuali altri film.
Ifans, la sua performance ricorda archetipi come Jekyll e Hyde, e anche certi momenti di Batman o La mosca. Ha avuto ispirazioni del genere per interpretare il personaggio?
Rhys Ifans: Grazie per il complimento, intanto: noi non volevamo mostrare solo uno scienziato pazzo, ma un uomo che all'inizio ha una sua etica e dei legami emotivi con Peter visto che conosceva bene il padre. In Jekyll e Hyde c'è una sorta di magia, in quella scrivania in cui l'uno appare e l'altro scompare: noi volevamo mostrare cosa c'era dietro questa scrivania. Nei drammi di William Shakespeare c'è uno stratagemma in cui il protagonista parla al pubblico: noi abbiamo usato come trucco la macchina da presa e il computer, che consentono al cattivo di avere momenti di soliloquio in cui si rivolge anche al pubblico.
Webb, come ha affrontato il problema di trasportare una storia a fumetti al cinema, anche in virtù di quanto aveva già fatto Raimi?
Marc Webb: Raimi ha fatto un ottimo lavoro, anche nell'ottica di rimanere il più possibile fedele allo stile del fumetto. Ma noi non volevamo mantenere lo stesso linguaggio dello Spider-Man originale: piuttosto, il nostro scopo era stabilire un tono naturalistico, tono per cui servivano gli attori giusti.
Nel mondo attuale si vive per sé stessi, ovvero l'esatto opposto di quanto fa Spider-Man. Si sente ancora la necessità di un personaggio che fa delle rinunce per aiutare gli altri?
Andrew Garfield: Dico la verità, non avevo capito davvero perché amassi questo personaggio finché non ho girato questo film. Lui è come il capo della tribù, un leader: aveva un impulso eroico ancora prima di diventare un supereroe, una grande forza interna che poi non corrispondeva al suo aspetto fisico. Il fatto che sia orfano, l'empatia per gli altri, il suo percorso di crescita, fa in modo che diventi un eroe: lui fa un viaggio che lo porta ad aiutare gli altri. Attraversa eventi tragici, ma lo fa anche con senso dell'umorismo.
Il film tratta anche il tema degli esperimenti genetici. Qual è la vostra opinione a riguardo?
Andrew Garfield: Se si possono fare le cose in modo umano, senza fare del male a uomini o animali, allora la genetica va benissimo.
Rhys Ifans: Il dottor Connors/Lizard ha un profondo legame emotivo con Peter: gli dà come un avvertimento, visto che il suo personaggio parla di sviluppi rapidi nella scienza e nella tecnologia. Non c'è tempo, nel mondo attuale, per discutere gli esiti morali od etici di questi sviluppi: essi sono spesso presi in ostaggio da persone senza scrupoli, con forti interessi personali.
Garfield, cosa ha provato la prima volta che si è visto vestito da Spider-Man?
Andrew Garfield: La primissima volta veramente avevo 3 anni: ero convinto di essere lui! Ora è stata un'esperienza diversa, sentivo una grande pressione e i tanti soldi che giravano: volevo che tutto fosse "protetto", specie tutto ciò che riguardava questo personaggio. Però per me era importante provare quella stessa emozione, volevo sentirmi libero anche di sbagliare e di sperimentare. Ce l'ho messa tutta, ma c'erano anche dei momenti di leggerezza.
Ifans, recentemente l'abbiamo vista in un film abbastanza diverso come “Anonymous”. In base a cosa sceglie i personaggi?
Rhys Ifans: Semplice: cerco sempre di scegliere persone che mi facciano apparire più bello!
Come ci si sente ad essere in un franchise alla partenza? Lei che ha una certa esperienza, si è sentito una guida per gli altri?
Rhys Ifans: No, non mi sono sentito affatto come luce guida, anzi mi sono sentito umile di fronte alla loro performance. E' stato fantastico, una gioia lavorare con loro, e direi anche una lezione per gli attori della mia generazione.
In che modo avete affrontato il tema della storia dei genitori di Peter?
Marc Webb: Ci ho pensato molto, a quando i genitori lo abbandonano. Doveva sentirsi molto sfiduciato verso le persone, e forse da lì viene il suo frequente sarcasmo. E' anche narrativamente la storia di un ragazzino che cerca suo padre, e trova se stesso.
Andrew Garfield: E' un orfano, che subisce la più grossa ingiustizia che si possa subire: questo lo rende difficile da avvicinare. E' una fortuna che le tragedie che lui affronta, tra cui la morte dello zio, colpiscano un orfano: altri non sarebbero stati in grado di reggerle.
Spider-Man è un fumetto, ma i ventenni di oggi è anche un fenomeno cinematografico. Continua ad essere raccontato in varie forme. In che modo il personaggio è stato assorbito dalla società americana, e perché secondo voi è così amato?
Marc Webb: E' un personaggio che ha in sé varie componenti: l'utopia, il fatto che sia un guardiano, il fatto che è un "amico". Forse è il costume colorato, la simmetria dei simboli... i bambini sentono l'affinità primordiale con questo personaggio. Forse Stan Lee, quando l'ha creato, ha toccato qualcosa di universale. Forse c'è anche il fatto che è l'unico supereroe il cui costume copre tutto il corpo: tutti possono identificarsi con lui, perché dietro quel costume potrebbe esserci chiunque. Non conta come sei fuori, puoi comunque sentirti lui.