<p>Se “Avatar”, uscito nel 2009, è il film che ha incassato di più nella storia, James Cameron non ama l'idea che il successo sia dato per scontato. "Il nuovo film non ha ancora avuto successo, a mio avviso. Abbiamo venduto dei biglietti online, ma il pubblico non è ancora arrivato", dice subito. Ma “Avatar: Fuoco e Cenere” è, per sua stessa ammissione, il film più complesso della saga. Dopo aver introdotto i personaggi nel primo film e le popolazioni marine nel secondo, Cameron porta ora il pubblico a incontrare il popolo delle Ceneri e a esplorare le cicatrici emotive lasciate dalla morte del figlio maggiore della famiglia Sully. “Volevo radicare questo universo fantastico in reazioni umane autentiche: trauma, perdita, dolore. Il cinema commerciale tende a sorvolare su queste cose. L'arco di Neytiri, in particolare, diventa più cupo. È spezzata. Vive nell'odio. E questo la rende razzista. Deve imparare a vedere oltre il colore della pelle (o del pigmento) per riscoprire l'umanità negli altri".</p>
<p>Una conferenza fiume, quella di Cameron, che si è poi concentrato sul cast, facendo il punto dopo tre film. “Quella che facciamo non è animazione. È recitazione pura. Zoe Saldana, Kate Winslet, Sigourney Weaver... te lo diranno: è tra le migliori performance che abbiano mai affrontato. Per anni ho nascosto il processo di performance capture perché temevo che svelare la tuta nera con casco togliesse magia ai personaggi. Poi mi sono reso conto che stavo facendo un disservizio agli attori. Leggo ancora che Sigourney Weaver ha doppiato Kiri. No. Ha interpretato Kiri per 18 mesi”. Parlando della biologia dei Na'vi e dell'ecosistema di Pandora, Cameron spiega che dietro quelle foreste, oceani e creature c'è una logica precisa. L'idea iniziale era rendere l'ambiente alieno, ma plausibile. La verità è che il pubblico vuole sentirsi a casa. “Il verde per noi significa vita. Abbiamo provato a tingere tutto di ciano per far mimetizzare i Na'vi, ma sembrava soltanto un filtro. Alla fine, abbiamo deciso: la foresta sarà verde, anche se i Na'vi sono blu. È fantasia allegorica.” Per Cameron, il contesto di Pandora funziona perché parla della Terra. “Parliamo di odio, mancanza di empatia, isolamento. Temi che stanno avvelenando il nostro mondo. Metterli su un altro pianeta permette agli spettatori di vederli con più chiarezza”.</p>
<p>Uno dei fili conduttori di “Avatar: Fuoco e Cenere” è l'identità. “I Sully sono sfollati. Jake se ne va per proteggere il suo popolo, ma l'impatto emotivo è devastante. Neytiri dice: Non ho la mia foresta. È una straniera in terra straniera. Spider, l'umano cresciuto tra i Na'vi è un ragazzo che vuole disperatamente appartenere a quel mondo. Si dipinge di blu. Cerca di essere accettato”.</p>
<p>Parlando del budget, James Cameron non fa mistero della portata titanica del progetto. “È semplice: più spendiamo, più posti di lavoro creiamo. Ci sono 3.800 nomi nei titoli di coda. Alcuni hanno lavorato per cinque anni”. Il regista ribadisce la sua fede incrollabile nella sala cinematografica. "Se vai al cinema oggi, vuoi un'esperienza. Non solo un film. Avatar deve giustificare il biglietto. Ci troviamo in un mercato cinematografico in contrazione. Realizziamo questi film per il mercato cinematografico. Naturalmente, a cascata si passa allo streaming, all'home video. Certo, una buona storia è una buona storia. La apprezzerete anche sul piccolo schermo. E la tv non è poi così piccola. La maggior parte delle persone ha televisori piuttosto grandi e impianti audio piuttosto buoni. Forse sono un dinosauro, ma credo ancora nell'esperienza cinematografica. È qualcosa che amo fin da quando ero bambino”.</p>
<p>La conversazione si sposta sull'uso dell'intelligenza artificiale. James Cameron distingue tra AI e una superintelligenza stile Skynet di “Terminator”, oggi al centro del dibattito. “L'IA generativa funziona. Ma prendere tutto quello che l'umanità ha creato, metterlo in un frullatore e sintetizzarlo... come può non essere medio? Io voglio storie scritte da persone che hanno vissuto qualcosa. Il nostro processo celebra l'attore. Potrebbe esserci una generazione di registi che dice: Non ho bisogno di attori. È una prospettiva che mi spaventa".</p>
<p>E adesso come al solito la parola passa agli spettatori.</p>